martedì 15 gennaio 2013

Creatori di mondi.

Per Gorgia, filosofo dell'antica Grecia, l'artista è un creatore di mondi.
Chi ha studiato almeno al Liceo questo esponente della sofistica, ricorderà la sua "teoria del non essere", che, per farla breve, afferma che nulla esiste, appunto.
Quindi l'arte non imita la realtà, ma è semplicemente un'altra realtà stessa.

Come dargli torto? In un quadro è possibile vedere orizzonti lontani pieni di vita, in una scultura si scava dentro la psicologia dei personaggi.
Quello che mi domando io è: i tempi sono abbastanza maturi da considerare i videogiochi arte pura?
Se Gorgia fosse nato negli anni '80, avrebbe considerato certamente questi friggi cervello giovanili qualcosa di più che un semplice passatempo, non a torto.
Dalle due tavolette di Pong, passando per Pacman, gioco che forse per primo proponeva l'idea di "I.A." (intelligenza artificiale), fino ad arrivare a capolavori come Legend of Zelda, dove addirittura l'utente aveva a disposizione un intero mondo (per l'epoca decisamente vasto) da esplorare e scoprire, l'industria videoludica ha fatto enormi passi avanti.
Id Software, con le serie di Wolfenstein e Doom, ha espresso per prima il concetto di "visuale in prima persona", quella più vicina alla nostra realtà. E sempre lei ha progettato, con Quake e Quake II (non mi si tocchi questa saga, che io adoro alla follia... Un must...) i primi motori 3D, con risultati strabilianti per l'epoca.
Da allora, è tutto un susseguirsi di meraviglie tecniche, con la grafica dei giochi odierni che in alcuni casi lascia stupefatti per il livello di fotorealismo raggiunto (God Of War 3, per Playstation 3, ha un livello quasi pari a quello di un film d'animazione della Pixar, e il che è tutto dire), e con ambientazioni vastissime (Chi ha detto Skyrim? Fallout? Oblivion? Ma anche semplicemente GTA: San Andreas basterebbe a rendere l'idea), piene di personaggi, vegetazione, negozi, fauna, con addirittura l'alternarsi del giorno e della notte e in alcuni casi anche delle stagioni.
Insomma, progettare un videogioco oggi significa anche progettare un mondo che sta alle regole che gli sviluppatori gli donano.
L'implementazione di motori fisici realistici (Half-Life 2, Crysis e Halo sono dei validi esempi) e di script che regolano l'intelligenza artificiale degli NPG (personaggi non giocanti) sempre più complessi, ci danno l'impressione di vivere davvero in un mondo a parte.
Giochi come Fable mettono a vostra disposizione un mondo da plasmare secondo la vostra volontà, buona o cattiva che sia, vi permette di sposarvi, di avere figli, di lavorare e aprire un negozio, il tutto in un mondo fantasy che, appunto, ha del fiabesco.
E, visto che abbiamo parlato di vita sociale, come non citare The Sims? Il simulatore di vita per eccellenza non mi ha mai preso più di tanto (anche perché cagare nella realtà è molto più soddisfacente che nel gioco), ma è impossibile negare come la EA abbia fatto centro nel riproporre tutte le meccaniche della vita "vera" all'interno di un contesto quasi comico, riuscendole addirittura a renderle divertenti (non per me, mi dispiace :V)

Ma c'è un'altra cosa, di cui non ho ancora parlato, e questa è la caratteristica principale di ogni arte che si possa definire tale: i videogiochi sanno emozionare.
Ebbene si, sono reduce da una partita a "Legend Of Zelda: A Link To The Past", e non posso non dire che quel gioco mi emoziona ogni volta che lo riprendo in mano.
E' bellissimo, anche se ha una grafica datata. La sua bellezza risiede, prima ancora che in un gameplay ancora oggi modernissimo e anni luce avanti a commercialate come i vari Call Of Duty e Battlefield, in una storia che più semplice non si può.
Noi siamo Link (in realtà il nome del protagonista è libero, ma generalmente i fan preferiscono chiamarlo così), e, quando riceviamo una visione in sogno della Principessa Zelda che ci implora di aiutarla, capiamo che è arrivato il nostro momento di salvare il mondo di Hyrule.
Ovviamente ridurre la trama di un gioco come Zelda a queste premesse sarebbe un peccato capitale, dato che la vastità di questo universo (ecco, si, è un universo, visto?) è veramente ampia.
Tuttavia l'opera riporta alla mente quando eravamo bambini e ci ritrovavamo a girovagare nel giardino di casa con un rametto trovato per terra come spada, immaginando avventure fantastiche.
Cosa c'è di più emozionante?

Per non parlare poi di giochi che sono arte vera e propria. Basti pensare ad Okami, un gioco ambientato in un quadro ad acquerello, dove il nostro compito sarà impersonare la dea Giapponese Amaterasu per ridare colore e vita ad un mondo che sta morendo.
Tematiche attuali e profonde, più di un film e come un libro.
Disegnare i pezzi del mondo mancanti (ponti, liane, alberi) tramite un pennello è un'intuizione geniale, per quello che è sicuramente uno dei giochi migliori della scorsa generazione.

Potremmo parlare all'infinito anche di un'altra grandissima opera d'arte, come Shadow of The Colossus.
Il protagonista, Wander, deve sconfiggere sedici giganti all'interno di una terra proibita, per riportare in vita una ragazza, probabilmente la sua amata. Il gioco lesina dei particolari che ci spingono a compiere questo viaggio, e il nostro compito sarà trovare ed uccidere questi esseri davvero enormi di fronte ai quali saremo l'equivalente di una formichina.
Il senso di smarrimento e solitudine che si prova mentre si attraversano queste terre abbandonate e incontaminate in groppa al nostro fido cavallo Agro, il quale è ben più che una semplice cavalcatura, è veramente affascinante e disarmante.
Nessuna colonna sonora, niente ondate di nemici da ogni dove, solo noi, il nostro cavallo e il suono del vento che ci fischia nelle orecchie mentre alberi e castelli abbandonati ci passano affianco a grande velocità.

Sono sensazioni difficili da descrivere, che bisogna provare per poterle comprendere.
Io avrei anche di più da dire, su questo argomento, così tante cose che magari questo post è diventato confuso, così, all'improvviso.
Forse è il sonno, forse l'influenza che ho.
Forse è che sento realmente quel vento che mi soffia in faccia potente, forse fa parte di me.

Oppure, come piacerebbe dire a qualcuno di mia conoscenza, forse mi sono semplicemente fritto il cervello.