Per Gorgia, filosofo dell'antica Grecia, l'artista è un creatore di mondi.
Chi ha studiato almeno al Liceo questo esponente della sofistica, ricorderà la sua "teoria del non essere", che, per farla breve, afferma che nulla esiste, appunto.
Quindi l'arte non imita la realtà, ma è semplicemente un'altra realtà stessa.
Come dargli torto? In un quadro è possibile vedere orizzonti lontani pieni di vita, in una scultura si scava dentro la psicologia dei personaggi.
Quello che mi domando io è: i tempi sono abbastanza maturi da considerare i videogiochi arte pura?
Se Gorgia fosse nato negli anni '80, avrebbe considerato certamente questi friggi cervello giovanili qualcosa di più che un semplice passatempo, non a torto.
Dalle due tavolette di Pong, passando per Pacman, gioco che forse per primo proponeva l'idea di "I.A." (intelligenza artificiale), fino ad arrivare a capolavori come Legend of Zelda, dove addirittura l'utente aveva a disposizione un intero mondo (per l'epoca decisamente vasto) da esplorare e scoprire, l'industria videoludica ha fatto enormi passi avanti.
Id Software, con le serie di Wolfenstein e Doom, ha espresso per prima il concetto di "visuale in prima persona", quella più vicina alla nostra realtà. E sempre lei ha progettato, con Quake e Quake II (non mi si tocchi questa saga, che io adoro alla follia... Un must...) i primi motori 3D, con risultati strabilianti per l'epoca.
Da allora, è tutto un susseguirsi di meraviglie tecniche, con la grafica dei giochi odierni che in alcuni casi lascia stupefatti per il livello di fotorealismo raggiunto (God Of War 3, per Playstation 3, ha un livello quasi pari a quello di un film d'animazione della Pixar, e il che è tutto dire), e con ambientazioni vastissime (Chi ha detto Skyrim? Fallout? Oblivion? Ma anche semplicemente GTA: San Andreas basterebbe a rendere l'idea), piene di personaggi, vegetazione, negozi, fauna, con addirittura l'alternarsi del giorno e della notte e in alcuni casi anche delle stagioni.
Insomma, progettare un videogioco oggi significa anche progettare un mondo che sta alle regole che gli sviluppatori gli donano.
L'implementazione di motori fisici realistici (Half-Life 2, Crysis e Halo sono dei validi esempi) e di script che regolano l'intelligenza artificiale degli NPG (personaggi non giocanti) sempre più complessi, ci danno l'impressione di vivere davvero in un mondo a parte.
Giochi come Fable mettono a vostra disposizione un mondo da plasmare secondo la vostra volontà, buona o cattiva che sia, vi permette di sposarvi, di avere figli, di lavorare e aprire un negozio, il tutto in un mondo fantasy che, appunto, ha del fiabesco.
E, visto che abbiamo parlato di vita sociale, come non citare The Sims? Il simulatore di vita per eccellenza non mi ha mai preso più di tanto (anche perché cagare nella realtà è molto più soddisfacente che nel gioco), ma è impossibile negare come la EA abbia fatto centro nel riproporre tutte le meccaniche della vita "vera" all'interno di un contesto quasi comico, riuscendole addirittura a renderle divertenti (non per me, mi dispiace :V)
Ma c'è un'altra cosa, di cui non ho ancora parlato, e questa è la caratteristica principale di ogni arte che si possa definire tale: i videogiochi sanno emozionare.
Ebbene si, sono reduce da una partita a "Legend Of Zelda: A Link To The Past", e non posso non dire che quel gioco mi emoziona ogni volta che lo riprendo in mano.
E' bellissimo, anche se ha una grafica datata. La sua bellezza risiede, prima ancora che in un gameplay ancora oggi modernissimo e anni luce avanti a commercialate come i vari Call Of Duty e Battlefield, in una storia che più semplice non si può.
Noi siamo Link (in realtà il nome del protagonista è libero, ma generalmente i fan preferiscono chiamarlo così), e, quando riceviamo una visione in sogno della Principessa Zelda che ci implora di aiutarla, capiamo che è arrivato il nostro momento di salvare il mondo di Hyrule.
Ovviamente ridurre la trama di un gioco come Zelda a queste premesse sarebbe un peccato capitale, dato che la vastità di questo universo (ecco, si, è un universo, visto?) è veramente ampia.
Tuttavia l'opera riporta alla mente quando eravamo bambini e ci ritrovavamo a girovagare nel giardino di casa con un rametto trovato per terra come spada, immaginando avventure fantastiche.
Cosa c'è di più emozionante?
Per non parlare poi di giochi che sono arte vera e propria. Basti pensare ad Okami, un gioco ambientato in un quadro ad acquerello, dove il nostro compito sarà impersonare la dea Giapponese Amaterasu per ridare colore e vita ad un mondo che sta morendo.
Tematiche attuali e profonde, più di un film e come un libro.
Disegnare i pezzi del mondo mancanti (ponti, liane, alberi) tramite un pennello è un'intuizione geniale, per quello che è sicuramente uno dei giochi migliori della scorsa generazione.
Potremmo parlare all'infinito anche di un'altra grandissima opera d'arte, come Shadow of The Colossus.
Il protagonista, Wander, deve sconfiggere sedici giganti all'interno di una terra proibita, per riportare in vita una ragazza, probabilmente la sua amata. Il gioco lesina dei particolari che ci spingono a compiere questo viaggio, e il nostro compito sarà trovare ed uccidere questi esseri davvero enormi di fronte ai quali saremo l'equivalente di una formichina.
Il senso di smarrimento e solitudine che si prova mentre si attraversano queste terre abbandonate e incontaminate in groppa al nostro fido cavallo Agro, il quale è ben più che una semplice cavalcatura, è veramente affascinante e disarmante.
Nessuna colonna sonora, niente ondate di nemici da ogni dove, solo noi, il nostro cavallo e il suono del vento che ci fischia nelle orecchie mentre alberi e castelli abbandonati ci passano affianco a grande velocità.
Sono sensazioni difficili da descrivere, che bisogna provare per poterle comprendere.
Io avrei anche di più da dire, su questo argomento, così tante cose che magari questo post è diventato confuso, così, all'improvviso.
Forse è il sonno, forse l'influenza che ho.
Forse è che sento realmente quel vento che mi soffia in faccia potente, forse fa parte di me.
Oppure, come piacerebbe dire a qualcuno di mia conoscenza, forse mi sono semplicemente fritto il cervello.
Ered Gorgoroth Realms
martedì 15 gennaio 2013
sabato 15 dicembre 2012
(Grazie)
Penso che non ci sia nulla al mondo che possa unire come la musica. Voglio dire, la musica non è come la religione, che divide. La musica è come la matematica e la chimica: è un linguaggio universale. Poco importa se non conosci una determinata lingua, le note non hanno bisogno di traduzione. Penso agli Orphaned Land (Israele). Un gruppo metal in Israele che suona per unire popoli di tutte le reli
gioni, etnie e nazionalità. Una rivoluzione. La musica è rivoluzione.
Ci vorrebbero più melodie ribelli e meno canzonette in rima, ci vorrebbero più idee, più strumenti, più musicisti, più icone. Il mondo ormai è privo di icone in grado di guidare i popoli e le idee con il loro carisma. Nel passato abbiamo avuto tanti musicisti di valore, basti pensare a Jimi Hendrix o Bob Marley: due modi differenti di suonare, ma la stessa voglia di cambiare le carte in tavola. Ognuno dei due, grazie alla propria bravura, ha raggiunto una fama notevole e numerosi fan. E' facile quindi capire come la musica possa essere il metodo più semplice e funzionale per la trasmissione delle idee. Ma i musicisti (e gli artisti in generale) non rivoluzionano mai tutto da soli. Dev'essere la gente a cambiare, affinché l'arte possa "cantare l'America". E se una Stratocaster rossa nel 68 rappresentava la sovversione stessa, adesso non è più uno specchio sociale.
Chi sono i grandi musicisti che rispecchiano la società odierna?
Lady Gaga? I Coldplay? I Muse? Britney Spears e le sue colleghe mediocri? Può darsi.
Come può darsi che una melodia di chitarra shoegaze rappresenti più di qualche sognatore che ancora si nutre di impressioni in un mondo materialista.
Ognuno di noi ha la sua musica, i tempi di Woodstock sono finiti, i grandi festival vanno scomparendo sempre di più. Eppure la musica continua ad unire tramite legami sottili ed impercettibili. Unisce l'ascoltatore con il musicista, il musicista con il mondo.
Trasmette emozioni, stimola ricordi e riflessioni. Io stesso scrivo mentre ascolto musica, in una fredda nottata invernale dai risvolti quantomeno tristi. Eppure la musica è la mia compagna inseparabile, più di qualsiasi altra cosa.
Non dimenticherò mai nessuna amicizia nata grazie alla musica.
Ci vorrebbero più melodie ribelli e meno canzonette in rima, ci vorrebbero più idee, più strumenti, più musicisti, più icone. Il mondo ormai è privo di icone in grado di guidare i popoli e le idee con il loro carisma. Nel passato abbiamo avuto tanti musicisti di valore, basti pensare a Jimi Hendrix o Bob Marley: due modi differenti di suonare, ma la stessa voglia di cambiare le carte in tavola. Ognuno dei due, grazie alla propria bravura, ha raggiunto una fama notevole e numerosi fan. E' facile quindi capire come la musica possa essere il metodo più semplice e funzionale per la trasmissione delle idee. Ma i musicisti (e gli artisti in generale) non rivoluzionano mai tutto da soli. Dev'essere la gente a cambiare, affinché l'arte possa "cantare l'America". E se una Stratocaster rossa nel 68 rappresentava la sovversione stessa, adesso non è più uno specchio sociale.
Chi sono i grandi musicisti che rispecchiano la società odierna?
Lady Gaga? I Coldplay? I Muse? Britney Spears e le sue colleghe mediocri? Può darsi.
Come può darsi che una melodia di chitarra shoegaze rappresenti più di qualche sognatore che ancora si nutre di impressioni in un mondo materialista.
Ognuno di noi ha la sua musica, i tempi di Woodstock sono finiti, i grandi festival vanno scomparendo sempre di più. Eppure la musica continua ad unire tramite legami sottili ed impercettibili. Unisce l'ascoltatore con il musicista, il musicista con il mondo.
Trasmette emozioni, stimola ricordi e riflessioni. Io stesso scrivo mentre ascolto musica, in una fredda nottata invernale dai risvolti quantomeno tristi. Eppure la musica è la mia compagna inseparabile, più di qualsiasi altra cosa.
Non dimenticherò mai nessuna amicizia nata grazie alla musica.
mercoledì 20 aprile 2011
Netfriend (?)
Uhm.
Oggi vi volevo parlare di una cosa che con la musica non c'entra nulla.
L'argomento è : gli amici virtuali, o presunti tali, o non presunti tali.
Spesso mi capita di chattare con persone che non conosco e penso mai conoscerò di persona, su Msn ma soprattutto sul nuovo "re" chiamato Facebook.
Con alcuni di loro ho legato molto, tanto che ci sentiamo spesso, e parliamo di cose che vanno dalla musica fino alle cazzatine adolescenziali che piacciono tanto agli adolescenti in preda alle loro cazzatine adolescenziali (io, a quanto pare, ne sono abbastanza immune .-.)
La questione è però un'altra : si possono veramente chiamare "amici" finché non li si conosce di persona?
Insomma, per me è un amico che conosce i tuoi modi di fare, le tue esperienze, le tue simpatie, le tue antipatie, i tuoi pregi e i tuoi difetti, e anche la tua faccia.
Però, se permettete, con i miei cari amici virtuali parlo di cose che con i miei amici "reali" non riesco proprio a trattare : è molto più facile parlare, che ne so, di qualcuno che ti sta sui cosiddetti con uno sconosciuto che non andrà a mettere in giro certe voci perché non gliene interessa molto, piuttosto che con uno del tuo paese che sputtanerà ai quattro venti tutto ciò che gli hai rivelato.
Voi cosa ne pensate? Gli amici virtuali possono essere dei veri amici, o restano delle occasioni per confrontarsi con gente diversa?
sabato 2 aprile 2011
Follow The Blind - Blind Guardian (Recensione)

Tracklist :
1)Inquisition
2)Banish From Sanctuary
3)Damned For All Time
4)Follow The Blind
5)Hall of The King
6)Fast to Madness
7)Beyond The Ice
8)Valhalla
9)Don't Break The Circle
10)Barbara Ann
UN PO' DI STORIA
Anno 1985, Krefeld, Germania : Hansi Kursch, André Olbrich, Marcus Dork e Thomas Stauch, quattro giovani musicisti, decidono di unire il loro nome sotto il monicker di Lucifer's Heritage.
Nel 1986 pubblicano la loro prima demo, Symphonies of Doom, senza tuttavia riuscire a procurarsi un contratto discografico.
Nel 1987 è la volta di Battalions of Fear, loro seconda demo, che riuscì a farli entrare sotto l'egida della No Remorse Record, dopo un rapido cambio di nome in quello attuale.
Ciò permise nel 1988 la registrazione del disco d'esordio, chiamato come la prima demo, Symphonies of Doom ; un disco immaturo e ancora acerbo, che nonostante alcune buone intuizioni non riusciva ad elevarsi al di sopra della sufficienza.
Tuttavia la band ci riprova e, l'anno successivo, viene alla luce il secondo LP, Follow The Blind.
Il miglioramento è evidente, e, sebbene la band ancora dovesse risolvere qualche problema di maturità, il disco ottenne un discreto successo.
Con la pubblicazione del terzo album, Tales From The Twilight Hall, i Bardi di Krefeld sarebbero entrati con prepotenza nell'Olimpo (o forse sarebbe meglio dire nel 'Valhalla,) del Metallo, dando una svolta importantissima a tutto il Power Metal degli anni '90.
Tuttavia, il punto di partenza di tale risultato è senza dubbio questo "Follow The Blind" che, nonostante la sua età (il disco ha ormai più di 20 anni), contiene parecchi classici della band che ancora oggi vengono eseguiti in concerto (una su tutte è l'Immortale "Vahlalla")
Lo stile della band, come detto, era ancora acerbo, e si ispirava al lavoro dei compatrioti Helloween, seppur risultando più vicino in un certo senso al Thrash Metal e allo Speed che non al Power comunemente inteso.
Infatti, dopo una breve intro, l'opener 'Banish From Sanctuary' lancia a tutta velocità quello che è sicuramente uno degli episodi migliori del disco : batteria in doppia cassa, riff veloci e tirati, un Hansi ancora oggettivamente acerbo (all'epoca suonava anche il basso, oltre a cantare) e i primi accenni ai ritornelli epici che in futuro renderanno famosa i Nostri in tutto il mondo.
'Damned For All Time' sembra quasi un pezzo Thrash Metal composto dai Kreator, giusto per restare in una zona geograficamente vicina, ed è uno degli episodi più violenti del disco (da notare che la "violenza" andrà progressivamente a scemare nel corso degli anni, fino ad arrivare ad un disco raffinato e poetico come 'Nightfall in Middle Earth', a parer di chi scrive il capolavoro assoluto della band nonché uno dei migliori dischi Metal di sempre).
La title - track, al contrario, è un mid - tempo sostenuto, a dire il vero di scarsa presa, che si risolleva comunque nella seconda parte del brano, dove il ritmo si alza un po'. Tutto sommato passabile.
E' tempo di headbanging con 'Hall of The King', che considero un piccolo capolavoro dei Bardi : ritmi sostenuti, strofa tiratissima e ritornello epico. La potremmo definire il "prototipo" della canzone - tipo dei Blind Guardian.
Deludenti le successive 'Fast to Madness' e 'Beyond The Ice', che, ad essere sincero, non sono mai riuscite a prendermi in tutti questi anni ; i due pezzi riprendono in totò quanto esposto nella prima parte del disco, senza tuttavia risultare convincenti, anche e soprattutto dopo un capolavoro come 'Hall of The King'.
Va beh, diciamo che sono due canzoni perdonabili, perché adesso ci introdurremo nel mito vero e proprio, inteso come qualcosa di assolutamente eccezionale e fuori da ogni paragone.
'Valhalla' è un Classico, di quelli con la C maiuscola, e la sua presenza ai concerti è ormai d'obbligo.
Non vorrei esagerare, ma è veramente una delle canzoni più belle che abbia mai sentito, sicuramente uno dei pezzi Power migliori dell'epoca, e ogni volta che ascolto il bellissimo ritornello mi eccito come un bambino.
Diciamo che il bello di questo disco è concentrato in gran parte in questi 5 minuti di durata (senza nulla togliere al resto, per carità)
A chiudere troviamo due cover : la prima è "Don't Break The Circle" dei Demon, mentre la seconda è nientepopodimeno che 'Barbara Ann'.
Le due rivisitazioni risultano riuscite e convincenti, soprattutto la seconda, ma, in quanto tali, non me la sento di prenderle in considerazione nel giudizio del disco.
La produzione è sicuramente migliorata rispetto al debutto, ma è comunque perfettibile (ai tempi non doveva essere tanto male, però), e la prestazione della band presenta, a dire il vero, ancora qualche piccola incertezza, soprattutto per quanto riguarda i soli di André.
In conclusione i Blind Guardian del 1989 suonano più coesi rispetto al debut, e più consci delle proprie capacità e dei propri limiti.
Non riesco a considerare il disco un capolavoro, ma la presenza di due canzoni come 'Valhalla' e 'Hall of The King', oltre che di altri buoni pezzi sparsi per il disco, mi fanno propendere decisamente per un buon voto a questo lavoro.
Insomma, non sarà bello come i dischi successivi, ma il miglioramento c'è stato, e si vede.
VOTO : 7,0
sabato 26 marzo 2011
Stand Up And Fight! - Turisas (Recensione)

Tracklist :
1)The March of The Varangian Guard
2)Take The Day!
3)Hunting Pirates
4)Venetoi! - Prasinoi!
5)Stand Up And Fight!
6)The Great Escape
7)Fear The Fear
8)End of An Empire
9)The Bosphorus Freezes Over
Questo 2011 non si era aperto affatto bene,per me : dopo la delusione di "Ukon Wacka" dei Korpiklaani,un lavoro veramente scialbo e al di sotto delle aspettative,avevo bisogno di qualcosa che mi facesse dimenticare quel brutto episodio.
Do un'occhiata alla lista delle nuove uscite e noto che i Turisas hanno pubblicato in questo 2011 il loro nuovo album,"Stand Up And Fight!",a ben 4 anni di distanza dall'ultimo "The Varangian Way".
Il terzo disco è sempre un momento critico per una band,perché bisogna dimostrare se c'è o ci fa.
I Turisas portavano addosso un carico di aspettative enorme,e molti avevano paura che in questo caso l'ispirazione potesse venire meno. Altri,al contrario,speravano nel capolavoro definitivo della band.
Ebbene,dopo svariati ascolti (il disco è stato nel mio lettore,e lo è tutt'ora,per più di un mese),posso affermare che i Turisas ci sono,eccome se ci sono!
"Stand Up And Fight!" è ottimo,parecchio al di sopra della media delle uscite odierne,e ci mostra una band matura decisa ad evolversi senza fossilizzarsi su uno schema precostruito (come hanno fatto ahimè,invece,i sopracitati Korpiklaani...),ma cercando di variare il discorso da album in album,fino a raggiungere una sorta di "perfezione stilistica".
I suoni si fanno sempre più corposi,e le orchestrazioni occupano un posto di maggior importanza rispetto al passato,a discapito delle influenze Folk,presenti solo in pochi episodi,tanto che,ora come ora,faccio un po' di fatica ad inquadrare il genere dei Nostri come "Folk Metal".
Nel disco aleggia un certo spirito "cinematografico",riscontrabile a partire dalla copertina che ricorda un film degli anni '50.
Basta ascoltare,per esempio,l'opener "March of The Varangian Guard" o la bellissima "Venetoi! - Prasinoi!" (uno degli apici del disco) per accorgersene.
La voce di Mathias presenta un certo flavour "operistico" che riporta alla mente un pezzo da Opera Teatrale,appunto.
Nel capolavoro del disco,"End of An Empire",per esempio,è facile notare tutto ciò,con tanto di cori epici e un finale "col botto" tipico dei film Hollywoodiani di qualche anno fa.
Ho sempre privilegiato l'innovazione alla staticità,purché proposta veramente bene,ed in questo caso penso che ne sia valsa la pena.
Lo spirito battagliero è certo venuto meno,e non pensate neppure di ritrovare una "Battle Metal" o una "Cursed Be The Iron" in questo disco ; qualcuno potrebbe pensare : "I Barbari che si sono imborghesiti",e può darsi anche che sia così,ma al giorno d'oggi sono in pochi a potersi permettere un disco come questo.
Brani come "Hunting Pirates","Stand Up And Fight!" e soprattutto il capolavoro "End of An Empire" non sono roba di tutti i giorni,e la maturità mostrata dai Turisas è qualcosa di realmente sorprendente.
Non mancano ovviamente i difetti,e parlo di qualche episodio leggermente meno riuscito rispetto al resto (mi riferisco a "Fear The Fear" e "The Bosphorus Freezes Over"),ma comunque il disco resta veramente consigliatissimo a tutti coloro che hanno amato i due precedenti.
Insomma,i Turisas si sono dimostrati una band conscia dei propri limiti : ora,però,io mi aspetto sul serio il capolavoro definitivo!
VOTO : 8,5
giovedì 17 marzo 2011
Relent Reckless Forever - Children of Bodom (Recensione)

Tracklist :
1)Not My Funeral
2)Shovel Knockout
3)Rountrip To Hell And Back
4)Pussyfott Miss Suicide
5)Relent Reckless Forever
6)Ugly
7)Cry of The Nihilist
8)Was It Worth It?
9)Northpole Throwdown
I Children of Bodom mi ricordano me durante un normale anno scolastico : dopo un primo quadrimestre generalmente molto buono,pieno di ottimi voti,vi era (e vi è) generalmente un calo,dove non era raro qualche 5,un voto decisamente basso per le mie potenzialità.
Fortunatamente sono sempre riuscito a salvarmi in calcio d'angolo,recuperano all'ultimo anche nelle materie più ostiche (o quasi).
Ebbene,la band ha avuto dei trascorsi musicali più o meno simili : partiti con un trittico di capolavori (per me il miglior resterà sempre il debut "Something Wild"),i nostri sono poi andati progressivamente calando,arrivando a pubblicare due dischi come "Are You Dead Yet?" e "Blooddrunk" che definire deludenti è dire poco.
Insomma,a fronte di un successo che aumentava ad ogni pubblicazione,soprattutto fra i metalheads più giovani,era la qualità che era venuta a mancare.
Questo "Relent Reckless Forever",ormai settima pubblicazione dei Finlandesi,aveva il compito di dimostrare che per i nostri non si era trattato di un colpo di fortuna.
Ebbene,devo constatare con mia enorme soddisfazione che Alexi e co. sembrano essersi ormai ripresi dal periodo di crisi,perché questo nuovo disco mi è piaciuto molto.
Ok,ok,non siamo ai livelli dei primi tre,ma a questo punto credo che solo uno stolto si sarebbe aspettato un altro capolavoro,però è innegabile che in questo caso la qualità media dei brani sia abbastanza alta per poter parlare di un grande ritorno.
A partire dalla bellissima Opener "Not My Funeral",che penso sia la miglior canzone della band dai tempi di Hatecrew Deathroll,fino alla conclusiva "Northpole Throwdown" è veramente difficile annoiarsi.
La band ha cercato di riassumere tutte le influenze,dal Power estremo dei primi dischi,al "Thrash Melodico" dei due precedenti. Guarda caso i pezzi migliori sono quelli dove l'animo più power della band viene alla luce,riscoprendo anche le tastiere,un po' trascurate ultimamente (a tal proposito cito "Rountrip To Hell And Back" e il singolo "Was It Worth It?"),mentre gli episodi più Thrash,in linea con l'ultimo periodo,come per esempio le due canzoni centrali,"Pussyfoot Miss Suicide" e la title - track,risultano si brani piacevoli,ma comunque decisamente di maniera se confrontate al resto del disco.
Anche l'enfant prodige Alexi Lahio si è ricordato di quando suonava per scrivere musica,e non solo per far vedere quanto è bravo,cosa che comunque in questa release non manca di dimostrare,seppur sempre con gusto melodico alquanto perfezionato negli anni (la sua prova vocale,a dire il vero,è un po' statica,ma nulla di grave,e alla fine risulta sempre piacevole).
Il resto della band è autore di una buona prova,seppur restando sempre indietro al frontman per presenza scenica.
Anche la produzione,ovviamente perfetta (senza risultare plasticosa,con mio grande piacere) sembra fare "retrofront",dimenticando il suono sporco e Americano dei due precedenti per ritornare in un'ottica decisamente più vicina al Power.
Insomma,questo è sicuramente un bel disco,per la prima volta capace di mettere d'accordo i fan della prima ora e quelli più giovani dell'ultima,coadiuvato da una bella produzione,e ovviamente pieno di qualche grande pezzo,un sacco di buone canzoni,e neanche una composizione insufficiente!
Dite che è troppo poco per una band che è stata capace di comporre un capolavoro come "Something Wild"? Non importa,a me alla fine dell'anno basta essere promosso,tanto so che valgo più dei voti che prendo...
VOTO : 7,5
sabato 26 febbraio 2011
Alcest - Souvenirs D'Un Autre Monde (Recensione)

Tracklist :
1)Printemps Emeraude
2)Souvenirs D'Un Autre Monde
3)Les Iris
4)Ciel Errant
5)Sur L'Autre Rive Je T'Attendrai
6)Tir Nan Og
La spensieratezza del fanciullo lascia spazio con gli anni al cinismo e alla disillusione dell'uomo maturo,oramai incapace di sognare.
La carenza di emozioni semplici e spontanee è una costante della vita degli adulti,perennemente infelici e sconsolati dalla monotonia della loro vita.
Per tanto,ripensare agli anni dell'infanzia porta sempre un po' di malinconia,nostalgia per quelle meravigliose estati passate a far nulla.
Questo è,in sintesi,l'affascinante concept che fa da sfondo a "Souvenirs D'Un Autre Monde",debutto degli Alcest. Un debutto coi fiocchi,direi,di quelli da non perdere se nella musica si cerca soprattutto emozione,pura e soprattutto semplice emozione.
Si,perché in un'epoca come la nostra,dove per stupire l'ascoltatore c'è bisogno di inventarsi spettacolari effetti elettronici,o magari di suonare pesantissimo,Neige riesce a comporre,semplicemente imbracciando la chitarra,un disco spontaneo,diretto,infantile,che punta dritto al nostro cuore,ai nostri ricordi.
Non è un'emozione di quelle patinate che si trovano su MTV o a Sanremo,questo è un disco prestato all'Arte e alla poesia,non al vile Dio Danaro,sia beninteso.
Ora,optare per un track by track non avrebbe praticamente senso,per due motivi :
1)Tutte le canzoni sono dei capolavori,non ce n'è una migliore o peggiore delle altre,tutte riescono a trasmetterci sensazioni inaspettate,che potrebbero andare dalla malinconia alla smisurata gioia di vivere tipica di un bambino.
2)Tutte le canzoni seguono più o meno lo stesso stile,ovvero un Post Metal rilassato,sognante ed etereo,con varie incursioni in ambito Neo Folk a rendere il tutto ancora meglio.
Semplicemente mi limito a dire che non ascoltavo un disco così bello da troppo,troppo tempo,che questo disco è stato per me una sorta di medicina per uscire da un periodo della mia vita che definire orripilante è poco.
Neige,mi hai salvato la vita.
VOTO : 9,5
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